La deviazione inaspettata e una Canterbury oltre le attese

Lunedì era il giorno dell’ultima tappa. Stiamo per incamminarci verso Canterbury quando il proprietario dell’hotel dove alloggiavamo, ci convince a fare una deviazione al nostro percorso. Gli argomenti con cui ci presenta  la cittadina di Witstable ci convincono a fare un “fuori pista” veloce. Consci che non riusciremmo a chiudere la giornata tutta a piedi se aggiungessimo quella nuova meta, decidiamo di camminare qualche km fuori percorso verso una stazione ferroviaria che ci porterà in questa cittadina per poi, da lì riprendere a piedi fino a Canterbury. Così ci concediamo una visita a questo paesino, che si rivelerà essere un piccolo paesino colorato sul mare la cui specialità sono le ostriche e molti sono i posti dove puoi mangiare pesce fresco. E’ affollatissimo nonostante la giornata freddissima ! Ci rimaniamo giusto il tempo di qualche scatto e ripartiamo per Canterbury. Il freddo e’ diventato veramente pesante e cominciamo a soffrire un po’ più del solito. Ma il sapore di quello che ci aspetta ci spinge ad andare avanti anche più velocemente o forse e’ un magro tentativo per scaldarci un pò di più .  Arriviamo prima di sera all’ingresso delle mura di Canterbury che ci accoglie con tutta la sua imponenza.  Lo sguardo non sa veramente dove posarsi, la cattedrale ci lascia sospesi. Dimentichiamo il freddo e cominciamo a girare random. La cattedrale e’ chiusa alle visite, ma e’ aperta parzialmente per il vespro cantato. Così decidiamo di entrare e veniamo accolti da un giovane prete donna, che ci spiega gentilmente che possiamo visitare solo una parte della cattedrale perché al momento vi e’ la funzione religiosa. Così camminiamo nella storia immersi nell’atmosfera solenne, grazie anche al coro di Canterbury che celebra la funzione. Non vorremmo più uscire tanto e’ avvolgente il momento, ma Canterbury e’ anche fuori da lì. Quindi usciamo e non cediamo alla tentazione di andare subito in albergo, anche se, dire che siamo sfiniti e’ dire poco . Decido di fare due passi o almeno così dico a Marco che mi guarda un po’ stranito come a dire “perché finora? ” e faccio il giro della cattedrale. E meno male perché c’è veramente uno spettacolo che  avremmo rischiato di perdere.  Infatti ciò che si presenta davanti, mi toglie il fiato: passo attraverso parti adiacenti la cattedrale che mi conducono tra un giardino e l’altro, verso un chiostro di una bellezza assurda. Mi affretto e mando un sms ai miei compagni di viaggio che vedrò nella loro espressione più rapita, quando mi raggiungono al chiostro. Giriamo ancora per un po’ in questa città costruita attorno alla cattedrale e, calata la sera,  decidiamo di raggiungere l’alloggio anche questo una vera chicca. Ricorda un vecchio college con la biblioteca e tutti i comfort nelle stanze calde e moderne affacciate sulla cattedrale, con cui praticamente confina. Ci rendiamo conto di essere all’interno dell’area della cattedrale quando, uscendo per cena,  ci dicono di suonare al rientro in quanto alle 21, la cattedrale chiude.  Al momento ci chiediamo cosa c’entriamo noi con la chiusura, ma tempo dieci minuti e capiamo che effettivamente dormiamo all’interno delle mura che la circondano e ci emozioniamo all’idea di suonare al grande portone d’ingresso. Usciamo a mangiare per il gusto poi di provare quella sensazione che non tarderà a venire in quanto siamo veramente stanchi e tempo un’ora siamo già di ritorno. Emozionati, ci sentiamo come catapultati nel medioevo e ci vediamo coperti di stracci quasi impauriti, suonare all’immenso portone. Ci apre il custode che chiede di vedere le nostre credenziali per entrare: faremo vedere le chiavi dell’hotel e ci lascia passare. Entriamo e nel silenzio che ci avvolge, ci fermiamo ad ammirare la cattedrale, ora illuminata. Ci chiediamo quale grazia siamo venuti a chiedere quando abbiamo il privilegio di passare una notte qui?  Ci avviamo lentamente verso l’alloggio : stasera si dorme con la tenda aperta, controlliamo noi che nessuno disturbi quella che oramai sentiamo essere un po’ la nostra cattedrale! 

Dal mare alla campagna

A Chatham abbiamo avuto la fortuna di alloggiare in un hotel affacciato ad un porticciolo dove tutto intorno il tempo sembrava essersi fermato, mentre la struttura all’interno era stata ristrutturata con raffinato gusto richiamando sapientemente il mare. Le camere, accoglienti, erano state rimodernate, ma ricordavano le vecchie barche: appena aprivi la porta della stanza, ti trovavi davanti tre gradini e un parapetto in legno dietro al quale si ergeva il letto e una bella finestra che lo illuminava. Svegliarsi in un posto così al mattino e’ decisamente una carica di energia. Per cui ci siamo alzati rigenerati e siamo partiti: destinazione Sittingbourne. Facciamo ancora qualche foto al porto dove il sole ci premia regalandoci riflessi nell’acqua, spettacolari. Nel frattempo ci imbattiamo in un gruppetto di donne che arriva da una corsa: sono le “medway runners”, così riportano le loro magliette gialle! Le guardiamo con insistenza soprattutto perché ci chiediamo come facciano ad essere così resistenti al freddo in quella mise leggera quando noi ci siamo praticamente vestiti con tutto il contenuto dello zaino!!! Ci rendiamo conto che siamo delle mammole! Mentre Giorgio si accorge che una ha il fisico perfetto della sua donna ideale! Ci incamminiamo quindi sotto il sole che con il vento frizzante ci vede ricoprire la testa in tutti i modi possibili, ma ci scalda il viso piacevolmente. La cittadina di Chatham e’ ordinata e ricca di iniziative probabilmente anche grazie alla presenza dell’università. Incrociamo lungo la via ciclabile diverse persone: chi passeggia, chi corre, tutti comunque attratti dalla giornata soleggiata. Arriviamo così ad un parco naturale dove decidiamo di fermarci per un veloce ristoro scoprendo invece un bellissimo spazio naturalistico dove le famiglie si ritrovano per i classici picnick o per delle lunghe passeggiate lungo l’insenatura di quello che pare essere un fiordo. Qui la bassa marea ha disegnato la sabbia e lasciato arenate delle vecchie barche e se alzi lo sguardo puoi godere della vista del mare aperto. Ci lasciamo affascinare e ci sentiamo fortunati perché solo il caso ci ha fatto fermare li. Ma dobbiamo ripartire, la strada e’ ancora tanta. Riprendiamo i nostri zaini di megapixel e via! Lungo la strada, ci rendiamo conto che Pasquetta per gli inglesi e’ la giornata dei grandi lavori: molti ritornano in famiglia e vedi i vialetti delle case stipati di auto, dove però dopo poco si riversano tutti, chi a lavare l’auto, chi a sistemare muretti di casa, giardini, finestre. Non come noi che a Pasqua e pasquetta ci si trova per grandi pranzi per poi svenire sui divano di casa o a fare passeggiate digerenti. La dinamicità degli inglesi mi stupisce ogni giorno di più ! Sarà per questo che hanno tutti una linea invidiabile? 

Finalmente cominciano ad intravedersi i verdi spazi che tanto rappresentano l’Inghilterra e le case cominciano a diradarsi senza però perdere quell’ordine e cura che le cottradistingue. Vediamo della gente camminare con i cani lungo i prati e ci spingiamo a cercare delle analogia con le nostre abitudini della pasquetta: dico ai ragazzi che secondo me stanno raccogliendo “sciopetin”, in italiano ci pare siano i “carlino”. Da qui ci perdiamo ad esaltare la bontà del risotto con i sciopetin, che per noi da quel momento diventerà erroneamente risotto con i carlino, finché Andrea ci fa notare che i carlino che avanzi dal risotto, li puoi leggere. E noi a chiedere:” in che senso Andrea? ” e lui “eh,  perché sono il Resto del carlino,no? “… Capite voi cosa può fare troppo sole e troppo vento e tanta stanchezza? Ma il camminare insieme serve anche a ritrovare il gusto delle lunghe chiacchierate anche senza senso, ma che ti strappano la risata, la riflessione e che a volte ti fanno pensare a quanto non lo si faccia più tutti nascosti dietro il telefono o il computer o presi dall’ansia del ” non c’è tempo”.

Nel frattempo un cavallo si e’ affacciato oltre il recinto e i ragazzi ne approfittano per fotografarlo e accarezzarlo. Succederà altre volte che i cavalli al passaggio dei tre uomini, si avvicinino a loro, a me invece no! Quindi o erano cavalle o loro profumavano come cavalli, chissà ! 

Finalmente arriviamo nei sobborghi di Sittingbourne. E’ vero, la gente ci guarda stranamente: alcuni di loro sono vestiti  maniche corte e pantaloncini, noi decisamente da abitanti delle Ande; credo però siano anche i colori accesi che indossiamo ad attrarre gli sguardi: due ragazzi indossano giacche celeste, con lo zaino nero e arancio, uno in rosso con lo zaino verde mela e io in fucsia con lo zaino verde! In fila indiana come la copertina di un disco dei Beatles, ai quali però facciamo un baffo, non passiamo di certo inosservati !! Prima di arrivare a Sittinbourne, c’eravamo già fermati per un veloce pranzo, in una sorta di mensa gestita da portoghesi gentili che ci parlano divertiti sfoderando le tre parole di italiano che conoscono, per cui arrivati al paese ci dirigiamo direttamente all’hotel che e’ un vecchio fienile rimodernato. Li il proprietario ci terrà a farci notare che e’ tutto arredato con mobili italiani !! Beh che dire, fa piacere vedere che ancora qualcuno ritiene il Made in Italy sinonimo di qualità, ma siamo così stanchi che ascoltiamo distrattamente anche la ragazza tedesca che ci spiega come un hostes in aereo le uscite dell’hotel e l’utilizzo del wifii! 

Qui ci riprenderemo dalla fatica e alla sera scopriremo che a Sittingbourne dopo le 20, non si mangia più e solo la benevolenza di una cameriera di un piccolo pub “the Dover castle” ci permetterà di mangiare un piatto unico… indiano! Forse lo ha fatto per ringraziarci di essere gli unici spettatori di un giovane musicista che ci sfodera un repertorio da Eric Clapton ai più contemporanei Rem e Alanis Morisette. La serata si chiuderà con un Andrea bello brillo e noi decisamente pronti per una bella dormita! Dovremo attendere però un’ora dalla fine della cena e non perché c’è l’ha prescritto il dottore, ma perché i taxi in Sittingbourne sembrano introvabili e avevamo prenotato quello dell’andata anche per il ritorno e non avevamo il suo numero di riferimento. Così abbiamo aiutato nella chiusura del locale, che chiudeva in realtà mezz’ora prima del nostro taxi, ma sempre per la gentilezza della cameriera ci e’ stato permesso di attendere all’interno del locale! I love you, gentle England. 

Verso sud

Dopo una prima giornata piovosa, riposati da una bella dormita, ci rimettiamo in cammino non dopo la nostra solita dieta mattutina: uova salsicce e brioches. D’altronde i camminatori si sa hanno bisogno di energia, peccato che la nostra bocca sia più veloce delle nostre gambe. Ci bardiamo di tutto punto e partiamo: destinazione Chatham. Il primo tratto di strada ci fa attraversare una zona industriale tutta ordine e pulizia da sembrare un quartiere elegante, con i suoi spazi verdi, i laghetti,  la caffetteria, non fosse per una certa cosa che mi trovo a pestare e che poi scoprirò’ portare bene, ma che mi farà camminare come una sciatrice di fondo per un po’; tutto appare quasi surreale a confronto delle zone industriali a cui siamo abituati.  Raggiungiamo così un paesino che di fatto sembra sorto appunto a corollario della zona industriale e si affaccia sul fiume Tamigi, dove ci la scieremo affascinare da uno skyline non particolarmente significativo, ma la cornice del brutto tempo che si avvicina, ne fa emergere un tratto drammatico che lo rende spettacolare. Qui siamo costretti a indossare il miracoloso poncho perché la pioggia, cominciata piano, prende improvvisamente forza. Attraversiamo così una fila interminabile di case , mattoncini su mattoncini, decorati da porte colorate che rendono graziosa anche la più assurda delle catapecchie! La strada prosegue e le gambe cominciano a farsi sentire; così contrariamente ai buoni propositi decidiamo di fermarci a mangiare una cosina leggera. E in mezzo a tutto questo grigio e freddo, casualmente ci troviamo catapultati in una Diner americana dove coloratissime pareti e un juke box sempre acceso, ci accolgono. Veniamo serviti da altrettante colorate cameriere  vestite anni 50 con cui Giorgio tenterà un approccio cercando di farsi fotografare con loro! I ragazzi si lasciano andare a tre hamburger alti almeno 20 cm; io che aspiro alla santità, mi mangio un insalata, per poi cedere ad un morbido pancake ricoperto della salsa mooh scelta da Marco!! Rifocillati ci rimettiamo in cammino, non prima di aver assistito ad un balletto di Andrea e Giorgio ancora posseduti dallo spirito degli anni 50. Dopo poco ci imbattiamo in Northfeelt nella chiesa anglosassone di Saint Bottles circondata dal suo cimitero, dove veniamo avvicinati dal custode zoppicante ( chissà perché c’è sempre un custode zoppicante in questi posti!) che con pila e mazzo di chiavi ci propone una visita all’interno. Purtroppo non c’è tempo quindi presi alcuni scatti proseguiamo. Il panorama comincia a cambiare un po’ e anche il sole fa capolino probabilmente portato dal mio evento fortunato del mattino, e dopo una serie interminabili di case, ci troviamo ad attraversare una verdissima palude, con cavalli liberi e mucche al pascolo. Qui probabilmente colta da un momento di stanchezza, indico ai ragazzi quelli che in lontananza sembrerebbero cavalli bianchi: Andrea non tarderà a farmi notare che i miei cavalli han messo le ali, perchè quelli che io vedo correre nei prati in lontana, sono uccelli che volano basso!! Ci avvieremo quindi a destinazione nel porticciolo dove ci attendono i nostri alloggi: e’ evidente che tanta e’ la stanchezza e per evitare  che io venga presa da nuove miracolose visioni… Buonanotte!

Pioggia e vento alla corte del Re

Si, lo so… Tutti me l’avevano detto: in Inghilterra troverete la pioggia! Ma sarà che pensavo che l’impresa dal sapore antico un po’ distante dalle comidita’ in cui ci crogioliamo tutti i giorni, ci avrebbe premiato almeno con il tempo sereno, la pioggia di questa giornata non l’attendevo! Siamo partiti dopo una nottata di tentativi: tentativo di uscire dall’aeroporto, tentativo di prendere un taxi, tentativo di trovare il portiere dell’albergo che compare dal buio di una sala spenta, improvvisamente, come una strana apparizione, tentativo di far partire il riscaldamento nella camera e di far funzionare le spine . Ma noi siamo fortunati : in tutti questi casi si è “acceso” il nostro Marco Giver che con l’aiuto di alcune nozioni, vuoi linguistiche, vuoi del libro delle giovani marmotte, con i pochi oggetti che trovava ha risolto le situazioni. Al mattino quindi partiamo vestiti secondo i suggerimenti di tutte le mamme: a cipolla! Canotta, maglia, felpa, piumino, berretto e nei momenti critici poncho per la pioggia. Camminiamo pieni di quello strano sapore che solo Londra sa suscitare: questa città di regine e pettegolezzi di corte, di tragedie e tradizione, così colorata nonostante sia una macchia grigia avvolta in un nuvola portata dal mare, si mescola con il colore acceso dei giovani che cantano il gospel camminando per le vie, dei mimi e saltimbanco che si esibiscono in ogni angolo, dei souvenir trash, dei graffiti e dei grattacieli di vetro. Poi la pioggia improvvisa, fredda e incessante! Andrea stranamente ha freddo, non e’ da lui, e in effetti sta male. L’influenza lo sta provando ma non abbastanza da impedirgli di cantare con un coro che sta facendo le prove in una chiesa! Giorgio sta invece smettendo le buone abitudini di una dieta vegana, lasciandosi andare a uova pancetta salsicce e condimenti vari! E sta fotografando gli angoli più particolari: e’ affascinato dai mille volti che lo fissano tutto coperto  dal poncho . Marco passa la prima mattinata al telefono incavolato perché non riesce a connettersi per lavorare, ma poi parte il suo momento creativo tanto da riuscire a perderci sopra un ponte!! La pioggia aumenta e i piedi cominciano a farsi sentire. Decidiamo di avviarci verso Dartford prima che il tempo abbia il sopravvento sulle nostre energie provate dalle molte emozioni. E mentre vi scrivo, compare alla TV una partita di polo fatta però a cavallo di una biga elettrica: anche nella terra di Regine e Re, i cavalieri si sono lasciati affascinare dalla modernità e nei loro giochi tradizionali il romantico cavallo ha lasciato posto ad una modernissima due ruote! God save the Queen. 

L’attesa è già l’inizio

Arrivati in aeroporto a Treviso. Carichi di adrenalina, di zaini e di.. Preoccupazioni! Ma Giorgio arriverà? Ed eccolo comparire già ridendo! E noi abbiamo già capito: ha dimenticato qualcosa! Ed e’ così: nello specifico ha scordato la biancheria, ma non ci facciamo caso e ci avviamo al controllo  bagagli un po’ insicuri circa il rispetto delle misure e peso. Raddi vedo comincia a infilarsi più maglie addosso, Marco e’ sicuro invece, perché lo zaino lo ha pesato e ha stretto tutte le cinghie che lo circondano, Giorgio e’ sereno: d’altronde ha già dimenticato il necessario a casa . Nella realtà passeremo tutti indenni anche se Giorgio viene “denudato” al controllo: legge del contrappasso! Ora siamo in coda all’imbarco; qualche aereo e’ già in ritardo: siamo fiduciosi ! 

N.b. Nella foto, Giorgio è già partito 🙂 

I miei tre grandi uomini

Vorrei dedicare un pensiero che vuol essere un ringraziamento di cuore ai miei tre uomini, che per 16 giorni sono stati i miei cavalieri, i miei amici, i miei giullari, i miei compagni.
C’è Andrea detto “il gladiatore”: parte per questo cammino per fare foto e un viaggio diverso e “vada come vada”, ma durante il cammino viene fuori il suo desiderio e la sua tenacia nel volercela fare a tutti i costi ad arrivare alla fine, perché il fisico c’è e lui ha tante cose da bruciare. Lui, che mentre ti ripropone tutti i successi della canzone italiana riadattandoli alle situazioni, sceglie di fare la via Francigena “quella vera”, ma fagli capire che la via vera e’ la Cassia battuta dalle auto e non quella con i cartelli con gli omini disegnati! Ma va bene così e lo assecondiamo perché nei viaggi insieme è così che si fa: ci si capisce, ci si sfoga, ci si supporta e lui, oltre ad essere stato nominato lo “spippolatore dell’anno” per la velocità con cui riesce a chattare mentre cammina, ti ascolta e ti racconta la vita a modo suo, anche con le sue foto e ha sempre la battuta pronta perché se non si affronta la vita con il sorriso, è tempo sprecato, e non passa minuto senza qualche sua battuta assurda dove le lacrime si sprecano e non c’è la fai a stare serio. Ma dentro qualche cicatrice ce l’ha e ogni passo, ogni goccia di sudore versato, lo capisci che ha un sapore diverso per lui. E’ poco avezzo al compromesso, nel quale invece è bravissimo Giorgio che con la sua calma e visione della vita, metterà da parte la stanchezza per accompagnare Andrea anche nei tratti fuori pista, dove i chilometri si triplicano. Giorgio vive la vita con lentezza, ma non si muove come un bradipo. No, la sua lentezza è assaporare la vita ogni secondo per come nasce. La fretta è nemica del bene e più di tutto lui ci ha insegnato questa filosofia di vita che ti permette di respirare a fondo e di guardare le cose e non solo vederle perché il tempo passa, scorre veloce e l’unico modo per fermarlo è viverlo un minuto alla volta. Giorgio si alza al mattino con calma, e sorridendo si siede a fare colazione mangiandosi come minimo tre quarti del tavolo della colazione dell’intero B&B e si rialza da tavola comunque con un certo languorino. È detto anche “Pollicino” per aver disseminato la via Francigena non delle sue gesta, ma dei suoi oggetti personali, dai vestiti alla tecnologia, dimostrando solo un “banale” stupore quando due giorni dopo se ne accorgeva: per circa 15 minuti non era il caso di parlargli! Cammina con calma, ma ha la resistenza di un cammello, arriva mai troppo stanco, nemmeno dopo 37 km; fotografa con il cuore e sotto la vena ironica, c’è un’intelligenza vivace; potresti rimanere ore ad ascoltarlo perché con la sua semplicità ti può parlare di nulla e di tutto, tanto che ti sembra di essere a una puntate di Sky arte o super quark. Lui, che del bosco mangia tutto e segue le tracce degli animali sapendo dire cos’hanno mangiato a pranzo! Se poi gli si affianca Marco partono i latinismi e le analisi semantiche delle parole e passano dalla biologia alla filologia dove Marco “docet” (unica parola in latino di mia conoscenza ahimè). E così passano in rassegna anche il sesso degli angeli, non senza l’ironico aiuto di Andrea, ritornando poi nel pianeta terra dove anche Marco diventa più umano. Quest’ultimo, che dalla fotografia è stato scelto, non c’è particolare che gli sfugga; lui non solo coglie gli scorci migliori, ma nel frattempo con generosità e umiltà, mentre stai con l’occhio nel mirino ti dice “abbassa i tempi” senza vedere le tue impostazioni in macchina, ma avendo ragione e non sai come; e se gli chiedi come mai non ti è venuta una foto, non ti fa pesare l’errore anzi ti dice “potresti provare a..” con questo condizionale che ti fa sembrare che sarai tu a trovare la quadra e invece te l’ha già risolto lui con serenità. Marco, anche detto “Macgyver” per la sua capacità di risolvere i problemi con niente, come quando mancava il tappo nel bidet e non ci si poteva fare i bagni ai piedi con il sale e lui con un bicchiere di plastica ha creato un tappo. Diventava poi “l’innominabile” difronte all’ennesima salita: si raccontano ancora le sue grida e le gesta eroiche per arrivare alla cima. Diventava infine “l’architetto” una volta raggiunta la vetta in quanto ripianificava il territorio per migliorare viabilità e servizi e da bravo team player e responsabile della comunicazione, metteva all’opera Andrea, Giorgio e me esperti creatori di slogan e gingle alquanto originali per la promozione!
Durante tutto il viaggio tra un momento ilare, gli sforzi e la stanchezza, tutti e tre hanno sempre e comunque avuto l’attenzione che, solo le persone che sanno vivere con il cuore collegato a qualsiasi cosa facciano, sanno dare e mi hanno fatta sentire come parte di una piccola famiglia. È stato facile camminare con loro tre: se rimanevi poco indietro c’era sempre uno di loro che si attardava per aspettarti e se invece eri davanti ti raggiungevano velocemente sparando quella che poteva sembrare l’ultima, e invece era solo l’inizio di una delle tante serie da ridere!!! Grazie amici miei, per avermi fatto sentire, con l’essere le persone speciali che siete, un po’ una principessa e un po’ il “quarto uomo”! Alla prossima!

Cosa rimane e cosa no!

Si fanno sempre le somme alla fine di ogni esperienza. Chi si porta a casa immagini, chi sensazioni, chi chiarimenti etc. Ma Giorgio ed io la vediamo un po’ diversamente. La verità per noi e’ questa, forse meno romantica, ma molto molto reale!Monica si porta a casa da questo viaggio nell’ordine: dolori ai piedi, vesciche ai mignoli, vescica plantare, dolore alle ginocchia, eritema solare alle gambe, una notte di disordini intestinali, gonfiore ai piedi, puntura di insetto al viso, graffi da rovi e rossori da zaino sulle natiche! Il suo viaggio e’ stato scandito dalle 10 piaghe e pare le abbia passate tutte!! Ora pare attenda la beatificazione, se non altro da parte dei suoi 3 compagni di viaggio che preferivano comprarle un vestito piuttosto che pagarle una cena!
Per contro, Giorgio NON si porta a casa: un pantaloncino che ha utilizzato come sciarpa (è mistero ancora il motivo e dove l’abbia lasciato), un carica batterie che si farà spedire presso un altro albergo, due pacchi di pile nuove, una maglietta gialla che ha lavato con tanta perizia e lasciata su una ringhiera (Marco ne conserva foto), due paia di infradito (uno si e’ rotto, quello nuovo faceva male), una bandana, un coltellino svizzero multiuso ( utilizzato per tagliarci la pizza nel penultimo alloggio e ivi rimasto!), una borraccia.
Si noti che il coltellino svizzero ha fatto passare 10 minuti di tensione al nostro Giorgio perché all’ingresso di San Pietro gli zaini dovevano passare sotto il metaldetector e lui, convinto di averlo ancora con sé, ha sudato come pochi e versava in evidente stato di agitazione per la paura di essere fermato. Al controllo invece passo’ indenne, e Giorgio se ne uscì pure con la frase: “che controlli del cavolo!” . Invece, grazie al cielo l’aveva perso e lo scoprimmo solo successivamente alla visita alla chiesa quando, una volta in camera, Andrea chiese a Giorgio di prestargli il coltellino multiuso per tagliare un laccio!
Quindi Monica nel complesso del viaggio ha superato le 10 piaghe e Giorgio per compensazione ha perso 10 oggetti della sua dotazione da viaggio! Monica deve ammettere che avrebbe preferito perdere 10 kg di peso, piuttosto che provare tutte le piaghe, mancavano le stigmate e il gioco era fatto, Santa subito!! Ma vediamola così: Monica ha avuto dieci e Giorgio ha dato dieci, da veri pellegrini, abbiamo dato e abbiamo ricevuto!

Ma chi ha detto che è finita?

Un viaggio non mai finito quando è cominciato: il viaggio continua nei ricordi, nelle immagini, nei racconti che ancora non abbiamo scritto o raccontato. E noi ancora ne abbiamo!!! E continua anche perché ad ogni fine segue sempre un nuovo inizio e ogni passo è sempre un nuovo cammino. Magari non sarà di 350 km, ma chi lo sa … Fatemi solo riposare i piedi, per il resto… Buon cammino e a presto, eroi!